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LE CASE D’ASTA, LA FONDAZIONE E I FALSI PERETTI

By 18/10/2013Settembre 27th, 2018Notiziario e opinioni

Renato Peretti, in arte “Reni”, fu, tra il 1954 e il 1976, il più abile falsario di Giorgio de Chirico, e non solo. Egli stesso stimava di aver prodotto più di mille dipinti falsi, di varie firme, ma soprattutto di de Chirico, perché era il più costoso, il più vendibile e quello che ammirava di più.
Sembra che, come semplice ammiratore, Peretti avesse visitato de Chirico nella villa che l’artista occupò al Lido di Venezia nel 1954 e lo avesse visto copiare una delle tante repliche delle “Muse Inquietanti” da una piccola foto a colori attaccata sul cavalletto, scoprendo così la sua strada.
La falsificazione di Peretti prese a modello il de Chirico più commerciale ed ebbe come target la clientela medio alta e un po’ volgare dei nuovi ricchi del miracolo economico. L’humus favorevole alla diffusione dei falsi fu offerto dallo stesso artista, che sfornava a ripetizione innumerevoli varianti dei medesimi soggetti: metafisici di tutti i tipi, cavalli e cavalieri, ninfe, efebi, Venezie, nature morte nel paesaggio o nell’interno, ecc. Impadronitosi di informazioni di prima mano sui materiali e sulla tecnica usata dal Maestro, Peretti divenne molto abile e, nei suoi momenti migliori, piuttosto difficile da distinguere dal suo modello.
Quando una grande inchiesta dei Carabinieri pose fine alla sua attività nel 1976, egli aveva dipinto un numero enorme di imitazioni di de Chirico, alcune delle quali, si scoprì, erano finite, approvate su fotografia dal Maestro stesso, nel suo Catalogo Generale.
Alla morte dell’artista, nel novembre del 1978, lo scandalo e il relativo processo erano sulle pagine di tutti i giornali e Peretti collaborava con gli inquirenti dando le sue informazioni, un po’ per godere dell’improvvisa celebrità e un po’ perché, malato di cancro, sapeva che sarebbe morto presto. Si faceva fotografare mentre rifiniva un quadro di “Muse Inquietanti”, circondato da altre opere di maestri del Novecento come Rosai, Casorati, Carrà, naturalmente false.
Tra le esternazioni di Peretti, una ebbe particolare risonanza e fu riportata da molti giornali, non solo scandalistici: esaminando con attenzione i sei volumi fino ad allora usciti del Catalogo Generale di Bruni, Peretti individuò sessanta opere che dichiarò senza alcun dubbio di aver dipinto lui, e altre cinquantasette che con molta probabilità erano opera sua ma che avrebbe voluto poter controllare dal vero per essere del tutto sicuro. “La Domenica del Corriere” (7 dicembre 1978) raccolse le sue confessioni e il settimanale scandalistico “OP” (26 dicembre 1978), ma anche “Bolaffi Arte” (n. 91 del 1979), allora la migliore rivista italiana del settore, pubblicarono gli elenchi dei quadri con tutte le fotografie.
Il clamore fu enorme perché già in occasione del processo di Firenze, che riguardava un grande numero di falsi, in parte suoi, ma molti anche di Umberto Lombardi, un falsario fiorentino di inferiore qualità, si era scoperto che alcuni quadri erano pubblicati nel Catalogo Generale. Trovarne un altro centinaio nello stesso catalogo sarebbe stato deflagrante per tutto il mercato e per gli stessi eredi del maestro. Il giudice di Firenze, già alle prese col precedente gruppo, non se la sentì di chiedere il sequestro anche degli altri, alcuni dei quali si trovavano presso collezionisti noti e potenti, e lentamente a tutto fu messa la sordina finché il tempo posò la sua coltre di oblio pacificatore.
Se teniamo presente che alla conclusione del processo di Firenze solo un numero molto basso di opere fu definitivamente riconosciuto come falso, [1] dobbiamo concludere che moltissimi Peretti sono ancora in circolazione, sia del gruppo incluso in catalogo e da lui denunciato, sia di quelli che riuscirono a cavarsela attraverso le annose e complesse pieghe processuali italiane, sia infine – e sono il gruppo più numeroso – di quelli che Peretti, per regioni sue, non denunciò mai, pur essendo inclusi nel Catalogo.
Una volta, all’interno della Fondazione de Chirico si consigliava di tenere le liste di Peretti sempre a portata di mano, perché i quadri da lui indicati erano, se non proprio tutti, quasi tutti falsi, ed anzi potevano servire come modello per verificare il differente tocco della pennellata “barocca”, di cui “Reni” era un maestro, ma che spesso era più cincischiata di quella di de Chirico. Errare è umano, e talvolta diabolico. Non è quindi assolutamente sicuro che Claudio Bruni prima, e poi le varie commissioni per le autentiche succedutesi dal 1986 in avanti,2 per distrazione o per stanchezza, non abbiano lasciato filtrare qualche Peretti tra i quadri giudicati autentici. Anzi, a dire il vero ne siamo sicuri, anche perché ne conosciamo qualche esempio, anche recente. Non di rado nelle aste passano quadri autenticati dalla Fondazione de Chirico che a nostro avviso sono opera di Peretti.
Ma non è questo il problema. Infatti non crediamo che l’infiltrazione di alcuni Peretti tra le opere seriali e per lo più mediocri del de Chirico anni ’50 e ’60 possa modificare l’immagine e la valutazione dell’artista, né tanto meno il giudizio storico.
Il vero problema è un altro. E’ corretto che i responsabili della Fondazione de Chirico fingano di ignorare il problema Peretti? e che quando viene sollevato addirittura affermino che il problema non esiste e che i quadri sono tutti autentici?
Chi ci segue sa che, visitando nel 2009 la mostra retrospettiva di de Chirico al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, ci accorgemmo che due opere, francamente brutte, facevano parte del “gruppo Peretti”. Una era una veduta del Canal Grande, Venezia (Bruni, III, 3, n. 419), che anche se Peretti non l’avesse indicata come sua era un tale pugno nell’occhio da mettere sul chi vive chiunque, e l’altra un Muse Inquietanti del 1961 (Bruni VI, 3, 949) pubblicato in mostra con la data 1924 e una scheda con falsa bibliografia, che tra l’altro ometteva il Catalogo Generale per impedire di risalire a Peretti.
Denunciammo la cosa sui giornali, ma il presidente della Fondazione, affiancato dal presidente dei mercanti d’arte italiani, Massimo Di Carlo, ci rispose che i quadri erano autentici perché pubblicati sul Catalogo Generale “che è un po’ la bibbia per quel che riguarda il pittore di Volos” (sic!), e perché lo stesso giudice istruttore del processo di Firenze non aveva ritenuto di dar seguito alle denunce di Peretti disponendo il sequestro dei quadri (si veda una passeggiata nelle ultime mostre).
Ora, chiunque entri nel sito della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, può leggere che essa è stata istituita per “tutelare e promuovere l’opera artistica e intellettuale di Giorgio de Chirico” e che uno dei suoi scopi principali è quello di “contrastare il fenomeno della falsificazione”. Se poi entra nel settore intitolato “I falsi”, si trova di fronte a ricostruzioni storiche errate e ad affermazioni opinabili, tutte volte a sostenere il teorema del “complotto surrealista”, culminante nella vicenda della Piazza d’Italia acquistata da Dario Sabatello al Milione nel 1946 e del conseguente processo. I nostri lettori sanno che queste ricostruzioni sono prive di fondamento e che tutte le “prove” che sembravano sostenerle stanno crollando di giorno in giorno. La Fondazione è infatti costretta sempre più spesso a riconoscere l’autenticità dei quadri “storici” che de Chirico aveva dichiarato falsi e che costituivano la base della teoria del complotto e della falsificazione di alta epoca (si veda in questo stesso Notiziario relativo al mese di novembre la vicenda del dipinto Le printemps). Stupisce tuttavia che nella medesima rubrica dedicata a “I falsi” non vi sia una parola sulla grande falsificazione degli anni Cinquanta e Sessanta e sui suoi protagonisti (anzi, i nomi dei mercanti e delle gallerie responsabili sono stati addirittura cancellati dai documenti pubblicati).
Il motivo è semplice ma molto grave: la falsificazione del dopoguerra ha lasciato pesanti tracce nel Catalogo Generale; non è stata in realtà sconfitta perché, nonostante la morte di tutti i protagonisti, il numero di opere apocrife era tale che molte sono ancora in circolazione, talvolta anche corredate di autentiche; nessuno dei due personaggi che hanno dato origine alla Fondazione, Isa de Chirico e Claudio Bruni, è immune da responsabilità anche gravi in merito alla messa in circolazione di opere apocrife, sia per mano di “aiutanti di studio” sia per mano di veri e propri falsari (esistono circostanziati rapporti dei Carabinieri che documentano quanto affermiamo). Di tutti questi gravi problemi, irrisolti e forse irrisolvibili, la Fondazione de Chirico non è responsabile che in via indiretta, perché ne porta il peso in quanto erede del Maestro e della sua vedova. Ma è proprio questo fardello che rende più comodo costruire teorie fantasiose sui perfidi surrealisti e sulla “banda Breton”, che affrontare problemi molto concreti come quelli di cui stiamo parlando.

La conseguenza di questo disinteresse è che un anno dopo la chiusura della mostra di Parigi, la falsa “Venezia” (cm. 65 x 81) volò a Vienna dove realizzò nell’asta Dorotheum del 20 maggio 2010 (lotto 122) la bella cifra di 329.300 euro. Chissà se chi l’ha comprata avrebbe speso ugualmente quei soldi sapendo che Peretti l’aveva indicata come opera sua, cosa che per altro si vede a occhio nudo?
Ora, che la Fondazione desideri evitare problemi di responsabilità civile a causa di errori compiuti quarant’anni fa da de Chirico è comprensibile. Lo stesso de Chirico chiese di sospendere il Catalogo Generale3 ma non denunciò i falsi che vi si venivano via via scoprendo per paura di dover risarcire i proprietari delle opere. Ugualmente chiaro è che una soluzione giudiziaria del problema non è affrontabile: se i sospetti falsi di Peretti fossero messi sotto sequestro non ci sarebbero più i colpevoli, ormai tutti morti, e sarebbe quasi impossibile dimostrare sia l’effettiva falsità delle opere (che come sappiamo dipende dai pareri dei cosiddetti Consulenti Tecnici d’Ufficio) sia eventuali altre responsabilità: infatti la Fondazione stessa si è sempre ben guardata dall’asserire ufficialmente la falsità di quelle circa 117 opere in catalogo.
Ma non crediamo che la soluzione migliore, “per tutelare e difendere l’opera di de Chirico”, sia ignorare il problema e lasciare che i Peretti della famosa lista passino regolarmente in vendita in tutte le aste. La Fondazione può benissimo continuare a dirci che il Catalogo di Bruni è “la bibbia del collezionista”, ma sarebbe corretto dicesse anche che prudenzialmente sarebbe bene astenersi dai quadri della lista Peretti. E lo stesso dovrebbero fare le Case d’Asta, che invece tirano dritto come se niente fosse, salvo trovarsi di quando in quando in difficoltà.

Gli ultimi Peretti metafisici proposti nelle aste internazionali

Facciamo pochissimi esempi, tutti molto recenti e solo di opere metafisiche pubblicate nel Catalogo Generale che Renato Peretti ha dichiarato di aver dipinto lui:
Piazza d’Italia, Bruni IV, 3, 589, venduto da Sotheby’s a Milano il 21 novembre 2006 (lotto 246) per 260.840 euro;
Piazza d’Italia, Bruni IV, 3, 568, offerto da Christie’s a Londra (The Art of the Surreal) il 6 febbraio 2007 (lotto 135) con una stima di 200 / 300.000 sterline (invenduto);
Muse Inquietanti, Bruni III, 3, 404, venduto da Sotheby’s a Milano il 22 novembre 2011 per 1.016.750 euro. (lo stesso quadro, riproposto l’anno seguente è rimasto invenduto: che la cosa si sia saputa in giro?);
Muse Inquietanti, Bruni VI, 3, n. 843, venduto da Sotheby’s a Londra (The Italian Sale lot. 26) il 17 ottobre 2013 per 398.500 sterline (circa 472.000 euro).
Quest’ultimo quadro è stato battuto e acquistato da un collezionista straniero, che alcuni giorni dopo l’acquisto e prima ancora di aver perfezionato il pagamento è venuto a sapere che l’opera figurava nelle liste di Peretti come dipinto probabilmente falso. Ne è nata una discussione con Sotheby’s che ha affermato di avere un’autentica della Fondazione firmata dal presidente Picozza (cosa assolutamente incredibile perché la Fondazione non esprime pareri sulle opere pubblicate nel Catalogo Generale). L’acquirente ha chiesto di vedere l’autentica, che però non è un’autentica, anche se è redatta in modo sottilmente ambiguo e una persona poco esperta la può scambiare come una dichiarazione di autenticità.

Scrive infatti l’avvocato Picozza:

L’opera Muse inquietanti, 1951, olio su tela, riprodotta sul retro della presente fotografia, è pubblicata nel Catalogo Generale/Giorgio de Chirico (a cura di Claudio Bruni Sakraischick, Electa, Milano 1983), al n. 843 del vol. VI, tomo III.
Nel suddetto volume si constata un errore relativo alle dimensioni dell’opera. Infatti nella didascalia, per errore,
sono state riportate le dimensioni “cm. 80 x 60” invece di cm 90 x 70.

       Roma, 26 settembre 2013.

Il Presidente
della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico
Prof. Paolo Picozza

A parte la singolarità che il Professor Picozza indichi il volume VI del Catalogo come edito nel 1983 mentre uscì nel 1976 (altrimenti come avrebbe fatto Peretti a denunciarne i numerosi falsi nel 1978?), la data della dichiarazione (26 settembre) ci permette di ricostruire i fatti: Sotheby’s riceve il quadro in consegna per l’asta Italian Sale del 17 ottobre e si accorge che le misure reali (cm. 90 x 70) e le misure nel Catalogo (cm. 80 x 60) non corrispondono. Chiede allora una rettifica alla Fondazione, il cui presidente, perfettamente a conoscenza del fatto che il quadro è nelle liste di Peretti, redige e firma il documento che abbiamo sopra riportato e che, per Sotheby’s e per chiunque altro suona come un certificato di autenticità: se il quadro è pubblicato nel Catalogo Generale e se il presidente della Fondazione non solleva alcuna eccezione vuol dire che è autentico!
Sottigliezze necessarie quando ci si trova di fronte a due verità: bisogna infatti affermare solo cose vere al fine di non fare emergere la verità. E’ vero che è pubblicato nel Catalogo, è vero che nel Catalogo c’è un errore e le misure sono sbagliate. Il resto è sufficiente non dirlo.

NOTE

1 Alla fine del Volume VIII, tomo 3, una nota riporta le indicazioni dei soli cinque quadri contenuti nel Catalogo Generale definitivamente dichiarati falsi con sentenza della Corte d’Appello di Firenze (Vol. IV, 3, n. 468; Vol. II, 3, n. 161 e n. 190; Vol. III, 3, n. 386; Vol. VI, 3, n. 975). Gli altri quadri dichiarati falsi dalla stessa sentenza non erano compresi nel Catalogo Generale.
2 Claudio Bruni, Maurizio Calvesi, Giovanna Dalla Chiesa (1986 – 1989); Pia Vivarelli, Paolo Baldacci, Antonio Vastano (1993 – 1994); Paolo Baldacci, Antonio Vastano (1994 – 1997); Paolo Picozza, Jole De Sanna (2000-2004); commissione anonima (2004-2008); Paolo Picozza, Antonio Vastano (2008-2013).
3 Nella Lettera inviata in data 21 aprile 1977 dall’Avv. De Luca a Claudio Bruni, de Chirico e la moglie motivavano la richiesta di sospensione del Catalogo in quanto ” vi erano stati individuati numerosi dipinti falsi”, cfr. Carlo Accorsi, Ecco l’elenco dei falsi riprodotti in Catalogo. Peretti ci ha detto: Questi li ho fatti io, “Bollaffiarte”, Milano. n.91. 1979, pp. 28-33.

L’elenco dei quadri di Peretti
Per fornire un aiuto e un punto di riferimento a nostri lettori, diamo qui di seguito la lista dei quadri del Catalogo Generale di Giorgio de Chirico che Renato Peretti ha indicato come sicuramente suoi, e poi la lista dei quadri indicati come suoi con riserva, cioè da sottoporre a verifica.

OPERE CERTE

Vol. I
parte terza dal 1951 al 1970
nn. 34; 109; 111; 112; 117; 132

Vol. II
parte terza dal 1951 al 1971
nn. 144; 160; 161; 185; 190; 221; 238; 244; 265; 266; 268; 269; 271

Vol. III
parte terza dal 1951 al 1971
nn. 341; 361; 378; 379; 385; 393, 397; 399; 403, 404; 409; 411; 415; 419; 422

Vol. IV
parte terza dal 1951 al 1972
nn. 466; 468; 485; 495; 517; 521; 524; 526; 529; 550;565; 568; 571; 572; 579; 580; 583; 585; 589; 593

Vol. V
parte terza dal 1951 al 1974
nn. 708; 709

Vol. VI
parte terza dal 1951 al 1974
nn. 949; 972; 975; 978

OPERE INCERTE

Vol. I
parte terza dal 1951 al 1970
nn. 35; 70; 102; 106

Vol. II
parte seconda dal 1931 al 1950
n.99

parte terza dal 1951 al 1971
nn. 141; 154; 248; 252

Vol. III
parte terza dal 1951 al 1971
nn. 323; 325; 340; 354; 360; 372; 390; 391, 394; 405; 408

Vol. IV
parte seconda dal 1931 al 1950
n. 312

parte terza dal 1951 al 1972
nn. 418; 472; 477; 484: 494; 499; 512; 515; 516; 520; 552; 559; 569; 586

Vol. V
parte terza dal 1951 al 1974
nn. 665; 668; 670; 675; 676; 696; 698; 708

Vol. VI
parte seconda dal 1931 al 1950
nn. 461; 522; 523; 532

parte terza dal 1951 al 1974
nn. 843; 906; 909; 915; 930; 935; 947; 950; 974; 990